Per il settore latte dell’Unione Europea la produzione di materia prima è stimata intorno ai 155 milioni di tonnellate all’anno. I maggiori produttori sono Germania, Francia, Polonia, Paesi Bassi, Italia e Spagna, per il 70% della produzione UE.

Un settore importante e pervasivo, ma anche molto eterogeneo. Indubbiamente, un ruolo fondamentale nella produzione di latte è svolto dalle aziende specializzate medio-grandi, che sono più della metà delle aziende nell’UE. La loro quota di produzione di latte varia dal 24% (Repubblica ceca) al 99,9% (alcune regioni spagnole e portoghesi) del totale UE.

Un settore che nel corso degli ultimi decenni ha vissuto una profonda rivoluzione, dimostrando di migliorare sull’efficienza per riduzione di capi ed aumento delle quantità prodotte. 

Le aziende specializzate hanno un potenziale produttivo vantaggioso che consente alti livelli di produttività. Al contrario, la restante quota di aziende medio-piccole presenta indicatori finanziari (come assistenza finanziaria e sostenibilità del debito, efficienza, redditività) insufficienti a permettere livelli soddisfacenti di reddito idonei ad ulteriori investimenti (Poczta et al., 2020). 

A prescindere dalla tipologia, le aziende da latte in ogni stato membro dell’UE condividono le stesse sfide (Parlamento Europeo, 2018). La volatilità del prezzo del latte è indubbiamente il problema principale, accompagnato da un’oggettiva difficoltà nel prevedere sia il prezzo sia le quantità di latte da produrre e piazzare sul mercato. 

La specializzazione offre vantaggi, ma lega i produttori ad un unico output – il latte. In caso di scosse improvvise sul mercato, ciò può essere uno svantaggio rispetto alle aziende che differenziano. Anche le aziende di piccole dimensioni risentono degli shock di mercato, non potendo contare su un supporto finanziario idoneo a tamponare potenziali danni. 

Rimane critico l’inserimento di giovani allevatori (solo l’11% dei produttori ha meno di 40 anni): ci sono difficoltà anche nell’attrarre le nuove generazioni nelle aziende da latte.   

A questo si aggiungono le pressioni dovute al cambiamento climatico, che impatta sulla produzione di alimenti zootecnici. La crisi del foraggio 2018, molto dura per i paesi del Nord Europa, ne è un chiaro segno. A questo si aggiunge anche la forte domanda di soia che spinge il prezzo sul mercato a cifre difficilmente sostenibili per gli allevatori. 

Anche l’occupare una posizione più debole in fase di contrattazione rappresenta una sfida. Il valore della filiera è maggiormente concentrato negli anelli successivi alla produzione primaria, e non equamente distribuito lungo la filiera. Allo stesso modo, le fluttuazioni sul mercato si trasmettono ampiamente ai produttori di latte.

Senza dubbio, la tendenza a produrre sempre più latte per venire incontro a queste difficoltà, aggiungendo animali in rimonta, non può essere la soluzione ai problemi dell’allevatore, e c’è un perché. 

Il mercato del latte è peculiare. L’oggetto di scambio è una materia prima altamente deperibile e da gestire in tempi molto ristretti. Al trasformatore viene chiesto talvolta di gestire quantità eccedentarie di latte, che tuttavia difficilmente trovano una collocazione a causa della domanda di mercato. Il tutto da coordinare con una logistica veloce e tenendo conto dell’influenza di altre variabili sul mercato. Quindi, in sostanza, è una questione di efficienza.

Latte e derivati, anche se stagionati, hanno una scadenza. Pertanto, è difficile tracciare dei confronti con mercati di altri beni alimentari, come il vino, che peraltro segue occasioni di consumo completamente diverse rispetto ai latticini. Per non parlare della sua storia: una ripresa pazzesca da quel 1986 in cui il metanolo mieté vittime e mise fortemente in crisi la filiera vitivinicola. 

Ciascun operatore della filiera, singolarmente preso, è quindi di fronte alle proprie sfide personali. Tuttavia, gli operatori condividono la stessa filiera e, in parte, alcune delle problematiche di settore, come ad esempio le recenti pressioni dell’opinione pubblica su impatti ambientali, allevamenti intensivi e benessere animale. 

Il concetto di filiera non è semplice. Lo si usa in modo “neutro” per definire i processi produttivi. In linea generale, è un concetto riconducibile a “un circuito economico, caratterizzato da una successione ordinata di cicli di produzione per la realizzazione di un bene” (Scarano, 1989).

Affinché il circuito economico funzioni, gli aspetti relazionali all’interno della filiera ed il dialogo tra operatori merita più attenzione. Viste le problematiche in comune, quanto può essere ancora vantaggiosa la scelta di ragionare ancora come operatori indipendenti? 

Un’opzione potrebbe essere cercare tutte le sinergie possibili per la costruzione di un rapporto ed una politica di medio e lungo periodo, in cui gli obiettivi ed i risultati siano equamente condivisi lungo tutta la filiera. Il risultato sarebbe un maggior margine di profitto per tutti gli operatori di filiera. 

Purtroppo, i tentativi del settore di difendersi dall’opinione pubblica sono ancora troppo circoscritti al circuito zootecnico: per farli uscire e veicolare al consumatore, in modo che arrivi a comprendere l’importanza di pagare il giusto valore per il latte, serve coesione. 

Inoltre, per un futuro più florido dell’intera filiera è necessario che il valore riconosciuto dal consumatore venga distribuito equamente lungo tutta la filiera. E questo significa avere una filiera del latte ancora più solida. 

Il progetto SSafeMILK di OZOLEA nasce come progetto di sostenibilità, in tutte le sue sfaccettature. Tra gli obiettivi, c’è anche la promozione di un approccio proficuo per tutti, possibile solo se ogni operatore della filiera latte è pronto a convergere adeguatamente e condividere obiettivi, responsabilità e profitti.