Riconoscere e sostenere gli sforzi degli allevatori per garantire un latte sicuro e di qualità è l’impegno concreto di OZOLEA, che semplifica il loro duro lavoro quotidiano dietro ogni litro di latte e difende il loro ruolo nella filiera. Insieme, OZOLEA e gli allevatori possono comunicare il valore di tutto questo agli altri attori del mondo latte ed anche al consumatore.

La biosicurezza è un concetto all’ordine del giorno in una stalla di vacche da latte. Le misure da intraprendere per garantire la biosicurezza in allevamento sono moltissime, nazionali ed internazionali, tra di loro interconnesse e richiedono tutte un’equilibrata attenzione dinamica in cui l’allevatore ha imparato a destreggiarsi. La normativa in materia di sanità animale europea [Reg. (UE) n. 2016/429) definisce la biosicurezza come “l’insieme delle misure gestionali e fisiche volte a ridurre il rischio di introduzione, sviluppo e diffusione delle malattie a, da o in: a) una popolazione animale, o b) uno stabilimento, una zona, un compartimento, un mezzo di trasporto o qualsiasi altro sito, struttura o locale. Su questo “pacchetto di misure” e sulla sua corretta applicazione quotidiana si basa la sicurezza alimentare. Quindi, in una qualsiasi produzione alimentare, dai campi alla tavola, abbiamo necessità dell’impegno e della professionalità di tutti gli operatori, chiamati alla gestione del rischio non solo perché lo vuole la legge, ma per una questione di responsabilità sociale a tutela della salute animale, delle piante, pubblica e a protezione dell’ambiente. Nella filiera del latte, gli allevatori rivestono un ruolo imprescindibile perché, con l’attività quotidiana in stalla condotta secondo buone prassi igieniche ed un efficace piano di gestione, contribuiscono a garantire al consumatore finale di latte un prodotto sicuro.

L’approccio di biosicurezza non si esaurisce chiaramente ai confini della stalla, e tutti gli operatori a valle cooperano ed operano per portare sulle tavole prodotti sicuri. L’allevatore farà la sua parte nell’azienda che controlla, garantendo comunque collaborazione agli operatori delle fasi successive della filiera. Il suo impegno è su diversi fronti, tutti strettamente collegati l’uno all’altro. Come obiettivo fondamentale di biosicurezza l’allevatore agisce al fine di ridurre il rischio di introduzione sviluppo e diffusione di malattie nella sua mandria e dal suo allevamento agli altri segmenti confinanti o che interagiscono con la sua azienda, come abbiamo visto poco fa con la definizione di biosicurezza. Come ben sappiamo, tutto quello che fa un allevatore per impedire, ridurre o evitare che le zoonosi arrivino anche all’uomo è un insieme di azioni finalizzate a garantire la sicurezza alimentare del proprio latte, oltre che un obiettivo di sanità animale. Molteplici sono i punti per i quali l’allevatore deve prestare attenzione: vediamone alcuni.

La movimentazione di animali, sia appena introdotti che già presenti all’interno dell’azienda, è l’aspetto che rappresenta il rischio più importante per lo stato sanitario in stalla e che richiede quindi semplici ma determinanti regole da seguire. L’allevatore deve mantenere puliti gli ambienti che ospitano gli animali, i magazzini, i locali di stoccaggio e la sala mungitura. Attenzione va posta anche al personale, che dovrebbe lavorare unicamente in un solo allevamento per non essere vettore di potenziali malattie. Importante è la prevenzione delle infestazioni da insetti, roditori ed altri animali nonché la lotta agli stessi in caso sia in corso un’infestazione. Altri animali appartenenti sia a specie domestiche (cani, gatti) che selvatiche (ad esempio, i cinghiali) possono rappresentare fonti di infezione e opportune azioni vanno condotte anche in questo caso. Precauzioni e misure di gestione vanno definite e messe in atto sia nel caso di ingressi di estranei che per visitatori abituali. Inoltre l’allevatore non può sottrarsi al saper riconoscere determinati segnali legati alle patologie infettive più comuni per i bovini (rinotracheite infettiva bovina, diarrea virale bovina, paratubercolosi) e implementare corretti piani operativi di prevenzione e controllo (piani di: vaccinazioni, eliminazione di capi infetti, eradicazione, etc.). Non va poi dimenticata la necessità di conoscere le endo- ed ectoparassitosi, nonché la capacità di prevenirle e controllarle soprattutto per i capi più giovani e quelli al pascolo attraverso piani di controllo ed eradicazione. Per tutti questi aspetti, l’allevatore ha bisogno del supporto professionale di veterinari ed altri esperti in materia.

Non dobbiamo dimenticarci che nelle stalle da latte un forte rischio è rappresentato dalle infezioni mammarie, di fatto il principale problema sanitario in questo tipo di allevamenti. Soprattutto nelle bovine da latte, lo strumento utilizzato in stalla per monitorare la prevalenza delle infezioni in azienda è la conta delle cellule somatiche (SCC): sebbene questo dato non specifichi esattamente quale batterio sia responsabile dell’infezione, una sua corretta interpretazione può farci capire se c’è un sospetto di infezione prevalente in stalla. A prescindere da ciò, l’informazione relativa ad un alto valore di cellule somatiche è che abbiamo in corso una reazione infiammatoria a carico della mammella, ovvero una mastite.

In futuro, anche il mondo zootecnico sarà impegnato nella grande e complessa sfida di lotta all’antimicrobico resistenza (e quindi di antibiotico resistenza). Le malattie infettive che proliferano in un allevamento obbligano l’allevatore all’uso di antibiotici e, vista l’attuale tendenza del fenomeno di antibiotico resistenza, le misure di biosicurezza sono decisive.

Tuttavia, a volte le misure gestionali di prevenzione non sono sufficienti perché può capitare che agenti biologici, fisici (ad esempio, mungiture troppo stressanti per le mammelle delle bovine perché non condotte correttamente) o agenti chimici portano a mastiti, rendendo il tessuto mammario “terreno fertile” per le infezioni batteriche, contro le quali tanto abbiamo fatto in stalla per evitare che esplodessero. Prima di ricorrere a terapie antibiotiche, vi è una possibile soluzione veterinaria complementare che aiuta la naturale autorigenerazione del tessuto, ed è firmata da OZOLEA: il dispositivo veterinario endomammario OZOLEA-MAST. Negli attimi precedenti l’insorgenza di una mastite clinica conclamata si verifica molto spesso un disordine secretorio e funzionale, che viene comunemente identificato dal mungitore per la presenza di coaguli nel latte, oppure per una variazione di conducibilità elettrica del latte.

L’adeguato supporto alla funzionalità del tessuto e l’effetto fisico-meccanico filmante di OZOLEA-MAST a protezione della mucosa consentono al tessuto di procedere con la naturale rigenerazione, aumentando le possibilità del tessuto stesso di gestire in autonomia una possibile aggressione batterica. La barriera di olio bioingegnerizzato creata da OZOLEA-MAST è un ambiente molto scomodo per i batteri: ripetere l’applicazione fino al raggiungimento di una piena competenza del tessuto rende difficile la colonizzazione batterica, rallentando l’aggressività dell’attacco.

L’uso di OZOLEA-MAST non ha il solo obiettivo di facilitare questo processo di rigenerazione, ma punta a molto di più: usare OZOLEA-MAST significa poter mantenere l’animale in uno stato di benessere e capacità produttiva, prima di degenerare in una situazione conclamata di malattia, che significherebbe perdita di produttività, necessario intervento con farmaci, relativi effetti collaterali, eliminazione del latte nel periodo di sospensione, contributo al trend di antibiotico resistenza e ripercussioni sulla filiera, stress per l’animale e ulteriore minore produttività.